In vista dell’evento “La (quarta) rivoluzione industriale è donna”, che si terrà durante il Festival Città Impresa di Vicenza, Martina Gianecchini, professoressa di Gestione delle Risorse Umane all’Università di Padova ci ha fornito materiale su cui riflettere in merito a cosa accadrà al mondo del lavoro in questo periodo di profondo cambiamento.

L’articolo che ha pubblicato su Venezie Post in data 6 aprile mette in luce come nei così detti Lavori Ibridi, del cui studio si sta occupando l’Osservatorio sulle Professioni Digitali finanziato dalla Regione Veneto, le competenze tecniche e relazionali dei mestieri consolidati si stiano sempre di più integrando con le nuove competenze informatiche e digitali, con le abilità di comunicazione nei social network, con le modalità di collaborazione in ambienti di lavoro meno gerarchici e strutturati.

In questo contesto una domanda che può sorgere spontanea è: come sono posizionate le lavoratrici per percorrere questa strada del cambiamento e per cogliere le nuove opportunità occupazionali?

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Informazioni sull’autore:

Martina Gianecchini è Professoressa Associata di Gestione delle Risorse Umane presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “M. Fanno” – Università di Padova ed è e vice-direttrice scientifica dell’Osservatorio sulle Professioni Digitali.

Spesso la presenza pervasiva di macchine dotate di intelligenza artificiale nelle nostre aziende (e nelle nostre vite) è percepita come un concetto avveniristico, fantasticamente proiettato in un futuro non troppo vicino.
I robot nelle fabbriche e nelle case sono visti come un possibile scenario che si verificherà forse in America, forse in Asia, e chissà forse un giorno anche da noi. Ma la realtà è ben diversa da ciò che si potrebbe pensare. La così detta Industria 4.0 riguarda proprio questo: secondo un articolo del quotidiano La Repubblica dal titolo “Robot, entro 4 anni un boom da 171 miliardi di dollari”, “il mercato della robotica conoscerà a breve un boom senza precedenti. La data prevista è il 2020”.

I processi di automazione e digitalizzazione stanno già ridefinendo radicalmente il manifatturiero, apportando cambiamenti profondi non solo in ambito tecnico e produttivo, ma anche a livello culturale e relazionale. Secondo i dati dell’International Federation of Robotics, nel 2017 l’Italia è stata il settimo paese al mondo per produzione di robot industriali. Come evidenziato anche da Manolo Garabini, ricercatore di robotica e fondatore di qbrobotics, ciò dimostra che le cose iniziano davvero a muoversi velocemente e che anche l’Italia sta sperimentando un percorso di innovazione che determinerà la sua competitività nel mercato e il futuro dell’economia del paese.

La domanda che potrebbe quindi sorgere spontanea – e che è stata proposta per la prima volta nel 2013 da Frey e Osborne, ricercatori dell’Università di Oxford – è la seguente: cosa significa il recente sviluppo tecnologico per il futuro del mondo del lavoro e per il contenuto del lavoro stesso?

Pur essendoci diverse correnti di pensiero, emergono chiaramente dalla letteratura due elementi principali che caratterizzano questo cambiamento, e che sono analizzati dell’articolo di John Harris pubblicato dal The Guardian dal titolo “Meet your new cobot: is a machine coming for your job?”. In particolare, alcuni studi hanno messo in evidenza come, nonostante le macchine abbiano effettivamente sostituito alcuni lavori, molti altri siano stati creati di conseguenza poiché i robot funzionano bene solamente se progettati, prodotti, e affiancati da tecnici e ingegneri umani, capaci di guidarli e valorizzarli. Inoltre, per quanto riguarda i contenuti del lavoro in sé, spesso le macchine subentrano ai lavoratori in carne ed ossa per lo svolgimento di attività monotone, alienanti e poco motivanti. Come suggerisce il settimanale The Economist nel report del 2018 “The sunny and the dark side of AI”, potrebbe essere quindi un’opportunità per rendere la vita dei dipendenti più soddisfacente, gratificante e stimolante? Ecco allora che gli effetti dell’intelligenza artificiale non si limitano solo al mercato del lavoro, ma sono destinati a cambiare anche i luoghi e i contenuti del lavoro stesso.

In secondo luogo, è importante sottolineare la possibilità che una classe di lavoratori venga esclusa dal mercato, composta da persone poco qualificate o semi-qualificate con basso livello di formazione. Una classe definita da John Harris “inutile”, in quanto non apportatrice di valore economico aggiuntivo in quanto facilmente sostituibile dalle macchine, capaci di svolgere le attività in modo più veloce, efficace e preciso. Bisognerà quindi porre attenzione alla gestione del gap tra i diversi tipi di lavoratori, e alle relative conseguenze, in quanto esso sarà sempre più ampio e diffuso.

In conclusione, l’unica strada percorribile per uno sviluppo ottimale è quella di creare un’integrazione uomo-macchina funzionale e positiva, sia all’interno delle aziende che nella vita quotidiana. Perché i robot non dovrebbero essere visti come antagonisti o dominatori, ma come fedeli servitori capaci di aiutare e sostenere le persone a superare i loro limiti.

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Informazioni sull’autore:

Elisa Rati è borsista di ricerca in tema Lavori Ibridi presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno” dell’Università di Padova ed è membro dell’Osservatorio delle Professioni Digitali.

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